Lettera agli Ebrei 1:1-14
Note in calce
Approfondimenti
Lettera agli Ebrei A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con più facilità i vari libri. La dicitura “Agli Ebrei” si può leggere nel codice papiraceo chiamato P46, il più antico manoscritto contenente la lettera agli Ebrei finora conosciuto; si ritiene risalga al 200 circa. (Vedi Galleria multimediale, “Lettera di Paolo agli Ebrei”.) Anche il codice Sinaitico e il codice Vaticano, autorevoli manoscritti del IV secolo, riportano la dicitura “Agli Ebrei”.
Nei tempi antichi Dio parlò [...] ai nostri antenati Nel corso dei secoli Dio si è servito di una lunga serie di profeti per comunicare con i suoi servitori. In questa lettera Paolo menziona o cita, tra i vari profeti, Abraamo (Gen 20:7; Eb 7:1), Mosè (De 34:10; Eb 9:19), Geremia (Ger 31:31-34; Eb 8:8-12), Abacuc (Aba 2:3, 4; Eb 10:37, 38) e Aggeo (Ag 2:6; Eb 12:26). Poi però dice che “alla fine di questi giorni” Dio ha parlato per mezzo di suo Figlio, Gesù Cristo (Eb 1:2 e approfondimento).
in molte occasioni e in molti modi Paolo apre la sua lettera utilizzando due termini che in greco hanno un suono simile e il cui significato è in qualche modo affine. Geova comunicò con il suo popolo tramite i profeti non una tantum, ma “in molte occasioni” (in greco polymeròs), ovvero in momenti diversi e in luoghi e situazioni differenti. Inoltre lo fece “in molti modi” (in greco polytròpos). A volte parlò con i profeti direttamente e fece sì che loro mettessero per iscritto il suo messaggio (Eso 34:27), altre volte si servì di sogni o visioni (Isa 1:1; Da 2:19; 7:1; Aba 1:1), altre ancora di angeli (Zac 1:7, 9). Dopodiché i profeti fecero conoscere il suo messaggio ispirato in svariati modi: annunciandolo pubblicamente, mettendolo per iscritto oppure presentandolo sotto forma di simboli o gesti metaforici (Ger 7:1, 2; Ez 4:1-3; Os 1:2, 3; Aba 2:2).
Ora, alla fine di questi giorni A quanto pare Paolo si riferisce alla fine del sistema di cose giudaico (1Co 10:11 e approfondimento). Quel sistema venne all’esistenza nel 1513 a.E.V., quando nacque la nazione di Israele. All’epoca Dio parlava con il suo popolo tramite Mosè. Promise però che avrebbe suscitato un profeta come Mosè. Di lui lo stesso Mosè disse: “Lo dovrete ascoltare” (De 18:15, 18, 19). Quel profeta promesso era Gesù Cristo (Gv 5:46). Al riguardo, infatti, Paolo dice che Dio ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio. Essendo il Figlio di Dio, Gesù fu di gran lunga superiore a tutti i profeti che lo avevano preceduto e che erano esseri umani imperfetti. Paolo perciò inizia ora un ragionamento che porterà avanti per buona parte della sua lettera ispirata: in merito all’adorazione, quanto previsto per i cristiani è superiore a quanto previsto nel sistema di cose giudaico.
che ha costituito erede di tutte le cose Un erede è una persona che ha il diritto di ricevere, o ereditare appunto, il denaro, le proprietà o l’autorità (come ad esempio la posizione o il titolo) di qualcuno. Nelle Scritture Greche Cristiane però i termini “erede” o “ereditare” vengono usati perlopiù a proposito di persone che ricevono una ricompensa da Dio (Mt 5:5 e approfondimento; 19:29; 25:34 e approfondimento; 1Co 6:9). Nel caso a cui si riferisce il versetto, Dio nomina il suo Figlio primogenito quale erede “di tutte le cose”, il che significa che gli conferisce autorità su tutte le cose in cielo e sulla terra (Sl 2:8; Mt 28:18; Eb 1:6; 2:8; 1Pt 3:22; Ri 11:15). Gesù è sottoposto solo a suo Padre, Geova (1Co 15:27, 28; Flp 2:9-11).
mediante il quale ha fatto i sistemi di cose Per come è usata qui, l’espressione “sistemi di cose” può essere intesa in almeno due modi. In primo luogo, in base a un’accezione del termine greco originale, può riferirsi ad aspetti particolari o caratteristici di determinati periodi di tempo, o “epoche”. In questa lettera Paolo fa riferimento a fedeli servitori vissuti nel tempo antidiluviano, in quello dei patriarchi e in quello in cui fu in vigore il patto stretto da Dio con Israele. Durante ognuno di questi periodi di tempo, Dio permise agli esseri umani di adorarlo in modo a lui gradito, ma fece sempre riferimento a un tempo futuro in cui l’umanità sarebbe stata completamente riconciliata con lui tramite suo Figlio. Poi, sulla base del sacrificio di Gesù, durante l’epoca cristiana istituì il nuovo patto. Questo sistema di cose cristiano fu reso possibile tramite Gesù Cristo perché è lui, quale “mediatore di un nuovo patto”, ad avere il ruolo principale nell’adempimento del proposito di Dio (Eb 1:3; 2:9; 12:24; vedi anche Glossario, “sistema/i di cose”). In secondo luogo, qui l’espressione “sistemi di cose” potrebbe essere intesa nel senso di “mondo” o “universo”, ovvero tutta la creazione fisica di Dio: il sole, la luna, le stelle, la terra... In tutte queste opere creative Gesù ha avuto il ruolo di “artefice” (Pr 8:30; Gv 1:3; confronta Eb 11:3).
Lui è il riflesso della gloria di Dio Questa è una delle svariate espressioni che Paolo usa per sottolineare il rapporto singolare che esiste tra Gesù Cristo dopo la risurrezione e il suo Padre celeste. Il termine greco qui reso “riflesso”, che letteralmente significa “riverbero”, compare solo in questo punto nelle Scritture Greche Cristiane. Può essere inteso in senso attivo (come nel caso di una luce irradiata o emanata da una fonte) o passivo (come nel caso di una luce riflessa da una superficie). In questo caso vale la seconda accezione, dato che la gloria di Dio non proviene da Gesù; non è lui a irradiarla, non ne è lui la fonte, ma piuttosto la riflette, in quanto è “l’immagine dell’Iddio invisibile” (Col 1:15; confronta Gv 5:19). Pertanto la resa “riflesso” è coerente sia con gli insegnamenti biblici nel loro insieme sia con l’espressione tradotta “l’immagine esatta” che compare sempre in questo versetto.
l’immagine esatta del suo stesso essere Il termine greco reso “immagine [o “rappresentazione”] esatta” (charaktèr) alla lettera si riferisce a “un marchio, o impronta, impresso su un oggetto”. Negli scritti greci extrabiblici può indicare un’incisione su legno o metallo, un marchio sulla pelle del bestiame, un’impronta su argilla o l’effigie su una moneta. Qui descrive il fatto che Gesù, dopo la sua risurrezione, è la perfetta rappresentazione dell’essenza stessa del suo Padre celeste. Persino mentre era sulla terra come uomo perfetto rispecchiò le qualità e la personalità del Padre nella misura più piena possibile per un essere umano. (Vedi approfondimento a Gv 14:9.) Ma dopo essere stato risuscitato e dopo aver ricevuto da Geova “una posizione superiore”, Gesù è diventato simile a lui in una misura senza precedenti (Flp 2:9; Eb 2:9). Ora è immortale e ha “in sé la vita” (Gv 5:26 e approfondimento; Ro 6:9; Ri 1:18), ed è perciò “l’esatta rappresentazione” di Dio, “del suo stesso essere” (Eb 1:2-4).
sostiene ogni cosa A riprova dell’immensa autorità di Cristo Gesù, Paolo spiega che Dio gli ha dato il potere di sostenere “ogni cosa” nell’universo. (Confronta Col 1:16, 17.) Il verbo greco reso “sostiene”, che può significare “portare” o “tenere”, qui trasmette l’idea di tenere qualcosa in vita. Gesù ha anche un ruolo chiave nell’adempimento dei propositi di Geova.
mediante la sua potente parola Lett. “tramite la parola della sua potenza”. Qui Paolo si riferisce a quanto pare alla potenza di Geova. Essendo la suprema e assoluta Fonte di potenza, Geova la fornisce ad altri in armonia con la sua volontà (Isa 40:26, 29-31; Lu 5:17; Flp 2:13; 4:13).
si è seduto alla destra della Maestà Gesù ha compiuto la purificazione dei peccati dell’umanità offrendo “un solo sacrificio [...], una volta per sempre” (Eb 10:12, 13). Geova lo ha ricompensato risuscitandolo alla vita spirituale e dandogli “ogni autorità [...] in cielo e sulla terra”, posizione superiore a quella che aveva prima di venire sulla terra (Mt 28:18; Flp 2:9-11; Eb 2:9; 1Pt 3:18). L’espressione “alla destra della Maestà”, cioè di Geova Dio, sembra richiamare le parole di Sl 110:1 (Eb 1:13 e approfondimento; 8:1; 12:2). Essere seduto “alla destra” di qualcuno implica l’idea di ricoprire una posizione di potere, autorità e onore. La posizione occupata da Gesù è seconda solo a quella di Geova stesso (Ro 8:34; 1Co 15:27, 28; Ef 1:20; vedi approfondimento ad At 7:55).
Perciò è diventato superiore agli angeli In questa lettera Paolo usa frequentemente il termine qui tradotto “superiore” per sottolineare la superiorità dell’adorazione resa dai cristiani. (Vedi “Introduzione a Ebrei”.) Gesù è diventato “superiore agli angeli” in virtù del nome che ha ereditato, cioè della grande autorità che Geova gli ha dato. (Vedi approfondimento a Flp 2:9.) Geova ha costituito lui “erede di tutte le cose” (Eb 1:2 e approfondimento). Inoltre ha scelto lui, e non uno degli angeli, come re, apostolo e sommo sacerdote “alla maniera di Melchisedec” (Eb 1:8; 3:1; 5:8-10; 7:1-3; confronta Ri 11:15). E, dettaglio ancor più rilevante, solo lui è stato offerto come sacrificio di riscatto “una volta sola” (Eb 1:3; 9:28).
a quale angelo Dio ha mai detto Nelle Scritture Ebraiche a volte gli angeli sono chiamati collettivamente “figli di Dio” (Gb 38:7; Sl 89:6) o “figli del vero Dio” (Gen 6:2, 4; Gb 1:6; 2:1). Ma nessuno di loro viene chiamato da Dio mio figlio individualmente, in modo speciale (Mt 3:17; 17:5). Qui l’apostolo Paolo spiega che Cristo Gesù è legato al Padre, Geova, da un rapporto speciale ed è superiore agli angeli. Cita due versetti che contengono l’espressione “mio figlio” al singolare e li applica a Gesù.
“Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato” Paolo cita Sl 2:7 per sottolineare la superiorità di Gesù rispetto agli angeli. Questo salmo descrive il re che Dio ha insediato. A quanto pare, inizialmente la profezia si applicava a Davide, il quale poteva essere considerato Suo figlio in modo speciale perché Dio lo aveva scelto come re. Poi, al momento del battesimo, Geova diede onore a Gesù in modo speciale, quando affermò: “Questo è mio Figlio” (Mt 3:17 e approfondimento; Gv 1:14). Come si legge in At 13:33, Paolo sotto ispirazione spiegò che quelle parole si erano adempiute anche quando Gesù era stato risuscitato. (Vedi approfondimento a Ro 1:4; vedi anche Eb 5:5, dove Paolo cita nuovamente Sl 2:7.)
“Io diventerò suo padre, e lui diventerà mio figlio” Questa è una citazione tratta da 2Sa 7:14. (Vedi anche 1Cr 17:13; 28:6.) Come si legge in 2Sa 7:11-16, Geova aveva fatto con Davide un patto per stabilire che il regno sarebbe rimasto nelle mani della sua discendenza; questo patto includeva la promessa che suo figlio Salomone sarebbe diventato figlio di Dio. Qui, sotto ispirazione, l’apostolo mostra che questa profezia ebbe un adempimento maggiore in Cristo Gesù.
Quando [...] manda di nuovo il suo Primogenito sulla terra abitata Paolo si riferisce a un evento futuro. Questa conclusione è avvalorata dalle parole che scrive in Eb 2:5 quando menziona “la futura terra abitata della quale parliamo”. (Vedi approfondimento.) Qui pertanto Paolo fa riferimento a quando Dio manderà di nuovo il suo Primogenito, questa volta in forma invisibile, per rivolgere la sua attenzione al mondo dell’umanità. (Vedi approfondimenti a Lu 2:1; At 1:11.)
“E tutti gli angeli di Dio gli rendano omaggio” Qui Paolo cita De 32:43 oppure Sl 97:7 dalla versione della Settanta, o forse mette insieme i pensieri di entrambi i passi. Nella Settanta, il testo greco di De 32:43 legge: “E gli rendano omaggio tutti i figli di Dio”. Quello di Sl 97:7 legge: “Rendetegli omaggio [o “inchinatevi davanti a lui”], tutti suoi angeli”. Le Scritture spesso usano l’espressione “figli di Dio” in riferimento agli angeli. (Vedi approfondimento a Eb 1:5.) In ebraico, nel testo masoretico, la frase “e gli rendano omaggio tutti i figli di Dio” non compare in De 32:43. Ma un frammento di Deuteronomio scritto in ebraico rinvenuto fra i Rotoli del Mar Morto sostiene questa resa. Il frammento, infatti, contiene una formulazione simile a quella presente nella Settanta. Questa è la prima volta che la frase di De 32:43 è stata rinvenuta in un manoscritto ebraico. Quindi sembra che la traduzione greca di questa espressione si rifaccia a un testo ebraico simile a quello presente in questo frammento.
gli rendano omaggio O “si inchinino a lui”, cioè a Gesù. Dio ha dato a Gesù una posizione che è seconda solo a quella che occupa lui in qualità di Altissimo. Ha perciò posto tutti gli angeli sotto l’autorità del Figlio. Ecco perché può esortare gli angeli a rendere omaggio a suo Figlio. Questa richiesta è in armonia con Flp 2:9-11, dove Paolo scrisse che “ogni ginocchio in cielo” dovrebbe piegarsi “nel nome di Gesù”. (Vedi approfondimenti a Flp 2:9, 10.) Il verbo greco tradotto “rendere omaggio” (proskynèo) che compare in questo versetto ha svariate accezioni. Un lessico ne elenca alcune, tra cui “(inginocchiarsi per) adorare”, “ossequiare”, “prostrarsi davanti”, “venerare”, “salutare con riverenza”. Il contesto è perciò fondamentale per determinare quale sia il significato corretto in questa occorrenza. (Vedi approfondimento a Lu 24:52.) Molti traduttori della Bibbia usano qui il verbo “adorare”, dando l’impressione che Gesù sia Dio. La Bibbia però in altri punti mostra che Gesù non è l’Iddio Onnipotente. Solo Geova ha il diritto di essere adorato (Mt 4:10; Ri 4:10, 11; 22:8, 9). Ecco perché espressioni come “rendere omaggio” o “prostrarsi davanti” sono ben attestate e trovano riscontro in varie traduzioni di questo versetto. Giuseppe Flavio, scrittore ebreo del I secolo, usò lo stesso verbo greco (proskynèo) parlando di popolazioni assoggettate che, in segno di rispetto, si inchinavano con riverenza ai governatori romani e persino alle loro guardie militari (Guerra giudaica, II, 366 [xvi, 4]).
Rende i suoi angeli spiriti Qui Paolo cita Sl 104:4 (103:4, LXX) dalla Settanta. Tanto il salmista quanto Paolo non stavano semplicemente dicendo che gli angeli fossero creature spirituali, verità ovvia. Questa espressione indica piuttosto il modo in cui Dio usa gli angeli. Sia il termine ebraico sia quello greco per “spiriti” possono anche riferirsi a una potente forza, come il “vento” (Sl 1:4; 147:18; 148:8; vedi anche Gv 3:8 e approfondimento). Gli angeli sono come un forte vento, scatenato e direzionato da Dio. Questo pensiero è sostenuto dall’ultima parte del versetto, che definisce gli angeli ministri, o letteralmente “servitori pubblici”. Geova, infatti, usa gli angeli per aiutare i suoi servitori sulla terra. A volte Dio può anche fare in modo che gli angeli siano un fuoco consumante usandoli per eseguire i suoi giudizi infuocati contro i malvagi. (Confronta 2Re 19:20, 34, 35; Mt 16:27; 2Ts 1:7, 8.)
Dio è il tuo trono per i secoli dei secoli Geova Dio è il trono di Gesù nel senso che è la Fonte dell’autorità, o del ruolo, di Gesù. Geova ha dato a suo Figlio “dominio, onore e un regno” (Da 7:13, 14; Lu 1:32). In Eb 1:8, 9 Paolo sta citando Sl 45:6, 7. Molte traduzioni rendono la frase in modo un po’ diverso: “Il tuo trono, o Dio, dura per sempre”. Nonostante il testo greco possa giustificare anche questa traduzione, ci sono comunque valide ragioni a sostegno della resa presente nella Traduzione del Nuovo Mondo (e in alcune altre versioni): “Dio è il tuo trono per i secoli dei secoli”. Per esempio nel contesto si legge: “Dio, il tuo Dio, ti ha unto” (Eb 1:9). Questo indica che le parole che si trovano qui nel v. 8 (o in Sl 45:6) sono rivolte non all’Onnipotente Dio ma a uno dei suoi servitori. Per di più, Sl 45:6, 7 in origine si riferiva non a Dio ma a un re umano di Israele che era stato da lui nominato. A livello profetico, inoltre, fa riferimento a un Re più grande scelto da Dio, il Messia.
lo scettro del tuo Regno “Lo scettro” che Gesù Cristo impugna rappresenta la sua autorità regale (Sl 110:2; vedi Glossario, “scettro”). Questa è una citazione di Sl 45:6, dove veniva predetto che il Re messianico di Geova avrebbe sempre esercitato la sua autorità nel modo giusto. Ecco perché il suo scettro è chiamato lo scettro della giustizia.
Hai amato la giustizia e odiato l’illegalità Paolo continua a citare Sl 45:6, 7, che contiene una profezia ispirata riguardo al Re messianico di Dio. Durante il suo ministero sulla terra Gesù dimostrò chiaramente di amare la giustizia e odiare l’illegalità (Mt 21:12, 13; 23:27, 28, 33; Gv 2:13-17; Eb 7:26; 1Pt 2:22). Spesso le Scritture indicano che l’amore per ciò che è giusto agli occhi di Dio è strettamente collegato all’odio per ciò che è sbagliato (Sl 97:10; 119:113, 163; Isa 61:8; Am 5:15).
ti ha unto con olio di esultanza Nei tempi biblici, quando ricevevano l’investitura regale, molti re venivano unti con olio letterale (1Sa 10:1; 1Re 1:39; 2Re 9:6). L’olio era associato a esultanza, o gioia (Isa 61:3; Gle 2:23, 24). Qui Paolo cita Sl 45:7, dove si parla profeticamente di un evento gioioso: l’unzione del Messia come Re. L’esultanza, o la gioia, del Messia sarebbe stata maggiore di quella dei suoi compagni, ovvero dei re di discendenza davidica. A differenza di quei re, il Messia sarebbe stato unto da Geova in persona, e non con olio letterale ma con lo spirito santo. Al suo battesimo Gesù fu unto come futuro Re e Sommo Sacerdote. Comunque l’unzione a cui fa riferimento qui Paolo a quanto pare si riferisce al gioioso evento che si verificò in cielo quando Gesù fu intronizzato come Re al termine dei tempi dei Gentili (Lu 21:24 e approfondimento). Sicuramente quella celebrazione celeste fu di gran lunga più gioiosa di qualsiasi altra celebrazione terrena, inclusa quella per l’unzione del figlio di Davide, Salomone (1Re 1:39, 40).
Tu, o Signore, in principio gettasti le fondamenta della terra Paolo cita Sl 102:25 (101:25, LXX) dalla Settanta, che includeva l’espressione “o Signore”. In questo versetto l’apostolo continua a dimostrare la superiorità di Gesù rispetto agli angeli. Il salmista aveva rivolto queste parole a Dio (Sl 102:1, 24), ma qui Paolo le applica a Gesù perché è di lui che Dio si servì per creare tutte le cose, come indicano Eb 1:2 e altri versetti (Gv 1:2-4; Col 1:15-17 e approfondimenti ai versetti 15 e 16; vedi anche Pr 8:23-31). A motivo della loro stretta collaborazione si può giustamente dire che sia Geova sia Gesù “[gettarono] le fondamenta della terra” e che “i cieli sono opera” delle loro mani. In modo simile nella Bibbia sia Geova che Gesù vengono chiamati “nostro Salvatore” (Tit 1:3, 4 e approfondimento).
Questi scompariranno Qui Paolo cita Sl 102:26, secondo cui i “cieli” e la “terra” letterali si deteriorano (Eb 1:10). Potrebbero essere distrutti se fosse volontà di Dio. E, a differenza sua, sono soggetti per natura al deterioramento. Ecco perché riguardo a loro il racconto ispirato dice che come un abito si consumeranno tutti. Comunque Geova assicura ai suoi servitori che può e vuole preservare per sempre tutta la sua creazione, in armonia con la sua volontà (Sl 148:4-6; vedi anche Sl 104:5; Ec 1:4).
ma tu rimarrai Sotto ispirazione Paolo applica a Gesù queste parole di Sl 102:26. (Vedi approfondimento a Eb 1:10.) Il suo obiettivo è creare un contrasto tra il Figlio di Dio (“tu rimarrai”) e i cieli e la terra fisici (“questi scompariranno”). Dopo la sua risurrezione Gesù ha ricevuto l’incorruttibilità e “una vita indistruttibile” (Eb 7:16 e approfondimento). Quindi la durata della vita di Gesù sorpassa perfino quella dei cieli e della terra, alla cui creazione lui stesso ha contribuito (Gen 1:26; Col 1:15).
i tuoi anni non avranno mai fine Paolo applica a Gesù queste parole di Sl 102:27. (Vedi approfondimento a Eb 1:10.) Dopo la sua risurrezione, Gesù ricevette l’immortalità (1Tm 6:16 e approfondimento; Eb 7:15, 16). Questo significa che la sua vita non solo è eterna, ma è indistruttibile. (Confronta approfondimento a 1Co 15:53.)
Siedi alla mia destra Con questo versetto Paolo arriva al culmine del suo ragionamento relativo alla superiorità di Gesù rispetto agli angeli. L’apostolo applica a Cristo queste parole prese da Sl 110:1, come fecero Pietro e Gesù stesso (Mt 22:41-45; Mr 12:35-37; Lu 20:41-44; At 2:34, 35; Eb 10:12 e approfondimento, 13). Dopo la sua risurrezione, Gesù aspettò alla destra di Dio (la posizione di massimo favore) per essere insediato come Re messianico al tempo da Lui stabilito. (Vedi approfondimenti ad At 7:55; Eb 1:3.) A quel punto i nemici di Gesù sarebbero stati ridotti a uno sgabello per i [suoi] piedi, nel senso che Gesù avrebbe avuto piena autorità e potere su di loro. (Vedi approfondimento a Eb 10:13; vedi anche 1Co 15:25, dove Paolo applica a Gesù Sl 110:1.)
svolgono un servizio sacro O “svolgono un servizio pubblico”. (Vedi approfondimento a Eb 1:7.)
mandati a servire Nei tempi precristiani Dio usò spesso gli angeli perché servissero e proteggessero i suoi adoratori umani fedeli (1Re 19:5-8; 2Re 6:15-17; Sl 34:7; Da 6:22). Gli angeli servirono anche i cristiani unti del I secolo che affrontarono la persecuzione e situazioni pericolose (At 12:6-11; 27:23, 24). Dimostrarono grande umiltà essendo disposti a servire semplici esseri umani, inclusi quelli che un giorno avrebbero occupato una posizione più elevata della loro (1Co 6:3).
coloro che erediteranno la salvezza I cristiani unti a cui era indirizzata questa lettera avrebbero ereditato la salvezza in un senso speciale, perché avrebbero regnato con Cristo in cielo (Mt 19:28; 2Tm 2:10-12; Eb 3:1). Paolo così sottolinea di nuovo la superiorità del cristianesimo. In merito all’adorazione, quanto previsto nel sistema giudaico non aveva più l’approvazione di Dio, pertanto non poteva offrire ai suoi aderenti la salvezza di cui si parla in questo versetto né alcun altro privilegio particolare (Lu 13:35).
Galleria multimediale
Nell’immagine si vede una pagina del codice papiraceo chiamato P46. Questo codice contiene nove delle lettere ispirate di Paolo, ma l’ordine in cui vi compaiono è diverso da quello che si riscontra nella maggior parte delle Bibbie moderne. Per esempio, la lettera agli Ebrei viene subito dopo quella ai Romani. (Vedi Galleria multimediale, “Seconda lettera di Paolo ai Corinti”.) La pagina che compare qui si trova ad Ann Arbor, presso l’Università del Michigan. All’inizio della pagina si può vedere la fine della lettera di Paolo ai Romani. (In questo manoscritto Romani finisce con quello che nelle moderne traduzioni della Bibbia corrisponde al capitolo 16, versetto 23; il resto della lettera, che oggi è Ro 16:25-27, compare alla fine del capitolo 15.) Nella foto è evidenziato il titolo della lettera che segue, dove si legge “Verso [o “A”] Ebrei”. È interessante notare che qui la lettera agli Ebrei è inclusa tra le altre lettere scritte da Paolo. Questo e altri fattori confermano la conclusione che fu Paolo lo scrittore di questa lettera ispirata. Si ritiene che questo codice risalga all’incirca al 200; questo significa che erano passati quasi 150 anni dalla stesura delle lettere da parte di Paolo. (Vedi “Introduzione a Ebrei”.)
Nell’immagine è raffigurato un cristiano che predica a due ebrei nei pressi del tempio. I cristiani ebrei che vivevano a Gerusalemme avevano bisogno di coraggio per parlare ai loro connazionali della salvezza resa possibile da Gesù Cristo, il vero Messia. Molti aspetti della vita quotidiana delle persone intorno a loro erano basati sulla Legge mosaica e su varie tradizioni ebraiche. In armonia con quanto stabilito dalla Legge, nell’imponente tempio di Gerusalemme (che nell’immagine si vede sullo sfondo) i sacerdoti levitici offrivano sacrifici animali. È probabile che gli ebrei additassero queste cose visibili per dimostrare che la loro adorazione era superiore a quella cristiana. Comunque, nel 61 circa, Paolo scrisse una lettera ai cristiani ebrei nella quale dimostrò che l’adorazione resa dai cristiani era di gran lunga superiore a quella resa dagli ebrei. Indicò che i cristiani disponevano di un tempio superiore, un tempio spirituale, e che avevano un Sommo Sacerdote superiore, “Gesù, il Figlio di Dio”; potevano inoltre contare su un sacrificio superiore, che era stato offerto “una volta per sempre”. Paolo spiegò tutte queste realtà celesti (Eb 4:14; 7:27, 28; 9:24, 25). Avere ben chiare in mente queste realtà di sicuro avrà motivato i cristiani ebrei, che così avranno avuto il coraggio di cui avevano bisogno per continuare a rendere la loro adorazione a Geova Dio. Un aspetto importante di questa adorazione è l’offerta di sacrifici di lode, che consistono, come spiegò Paolo, nel “frutto delle [...] labbra che dichiarano pubblicamente il suo nome”. E aggiunse: “Dio si compiace di tali sacrifici” (Eb 13:15, 16). Per contro, dopo il 33 i sacrifici animali offerti nel tempio non servirono più per ottenere l’approvazione di Dio.