Lettera ai Galati 4:1-31
Note in calce
Approfondimenti
affidato a tutori e amministratori Ai giorni di Paolo era pratica comune affidare un minore a un tutore. I tutori avevano la tutela legale dei minori e ne curavano gli interessi economici. Gli amministratori, invece, erano sostanzialmente economi, che gestivano il patrimonio di un’intera famiglia. Comunque, sia in presenza di un tutore che di un amministratore, l’erede, finché era piccolo, era “padrone” della sua eredità solo teoricamente. Infatti non aveva su di essa più diritti di quanti ne avesse uno schiavo (Gal 4:1). La sua vita era sotto il controllo di altri finché non raggiungeva l’età adulta. Paolo si rifà a queste due figure per descrivere la situazione degli ebrei, che rimasero sotto la Legge fino a quando non arrivò il momento in cui il Figlio di Dio li liberò (Gal 4:4-7).
princìpi basilari In genere questa espressione si riferisce ai rudimenti, ai princìpi elementari, di qualcosa. Per esempio la parola originale veniva usata per indicare i singoli suoni e le singole lettere dell’alfabeto greco, gli elementi fondamentali che formavano le parole. Paolo la utilizza qui e in Col 2:8, 20 in modo negativo per riferirsi agli elementi fondamentali del mondo, cioè l’umanità lontana da Dio. Tra questi potevano esserci (1) filosofie che si basavano su ragionamenti umani e miti (Col 2:8), (2) insegnamenti giudaici non scritturali che promuovevano l’ascetismo e l’“adorazione degli angeli” (Col 2:18), e (3) l’idea secondo cui i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica per essere salvati (Gal 4:4–5:4; Col 2:16, 17). I cristiani della Galazia non avevano bisogno di questi “princìpi basilari”: il loro modo di adorare, che si basava sulla fede in Cristo Gesù, era superiore. Non dovevano essere come bambini, schiavi dei princìpi basilari, cosa che invece facevano sottoponendosi volontariamente alla Legge mosaica, paragonata da Paolo a un tutore (Gal 3:23-26). Quei cristiani dovevano piuttosto avere con il loro Padre, Dio, un rapporto simile a quello che un figlio adulto ha con il proprio padre. Di certo non dovevano ritornare a osservare la Legge, né alcuno dei “deboli e miseri princìpi basilari” promossi da quelli che non seguivano Cristo (Gal 4:9).
il periodo stabilito Alcune versioni della Bibbia traducono questa espressione in modo letterale con “la pienezza del tempo” (CEI) o “il compimento del tempo” (La Nuova Diodati). Questo versetto indica che Geova aveva stabilito il tempo preciso in cui il suo unigenito Figlio sarebbe venuto sulla terra quale Messia in adempimento della Sua promessa di suscitare una “discendenza” (Gen 3:15; 49:10). Anche l’apostolo Pietro, parlando di Cristo, fece riferimento a un “momento” preciso e a precise “circostanze” (1Pt 1:10-12), e le Scritture Ebraiche avevano additato un tempo specifico in cui il Messia sarebbe comparso (Da 9:25). Paolo in questo versetto dice anche che Gesù nacque da una donna: la vergine ebrea Maria, infatti, nel 2 a.E.V. diede alla luce Gesù.
era sotto la legge Durante il suo ministero terreno Gesù osservò la Legge mosaica a cui era sottoposto essendo ebreo di nascita (Mt 5:17; vedi approfondimento a Lu 22:20). Fu infatti solo dopo la sua morte che la Legge venne abolita (Ro 10:4).
riscattasse O “liberasse”. Gesù riscattò quelli che erano sotto la legge, cioè gli ebrei credenti. Paolo aggiunge: “Affinché noi [a quanto pare in riferimento a tutti i galati che erano diventati cristiani, sia ebrei che non ebrei] ricevessimo l’adozione come figli”. Il verbo greco exagoràzo, qui reso “riscattasse”, compare anche in Gal 3:13, dove Paolo dice: “Cristo ci ha riscattato [o “liberato”] dalla maledizione della Legge diventando una maledizione al posto nostro”. (Vedi approfondimento a Gal 3:13.)
l’adozione come figli Nelle Scritture Greche Cristiane, Paolo menziona diverse volte l’adozione per descrivere la nuova condizione di coloro che vengono chiamati ed eletti da Dio. Questi ricevono la prospettiva della vita immortale in cielo. Essendo discendenti di Adamo, prima dell’adozione erano imperfetti e schiavi del peccato come lui, e quindi non avevano per nascita lo status di figli di Dio. Grazie al sacrificio di espiazione di Gesù vengono adottati e diventano figli di Dio e “coeredi di Cristo” (Ro 8:14-17). Non sono loro a decidere di essere adottati: è Dio a farlo, in base alla sua volontà (Ef 1:5). Li riconosce come figli sin dal momento in cui li unge con il suo spirito (Gv 1:12, 13; 1Gv 3:1). Comunque, la loro condizione di figli spirituali adottati da Dio si realizza a tutti gli effetti solo se rimangono fedeli sino alla fine della loro vita umana (Ro 8:17; Ri 21:7). È per questo motivo che Paolo disse: “Attendiamo con impazienza l’adozione come figli, la liberazione per riscatto dal nostro corpo” (Ro 8:23; vedi approfondimento a Ro 8:15). L’adozione, che nell’antichità era un concetto ben noto, nel mondo classico era nata soprattutto per fare gli interessi di chi adottava, non di chi veniva adottato. Paolo, invece, mette in evidenza che con amore Geova ha agito facendo gli interessi di chi viene adottato (Gal 4:3, 4).
lo spirito di suo Figlio Qui “spirito” si riferisce allo spirito santo di Dio, la sua potenza in azione, che lui attraverso suo Figlio manda nel cuore dei cristiani al momento dell’unzione. (Confronta At 2:33 e approfondimento ad At 16:7.)
Abba Il termine greco abbà è la traslitterazione di una parola ebraica o aramaica che letteralmente significa “il padre” o, come vocativo, “Padre!” Ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane. Era un appellativo affettuoso usato da un figlio nei confronti dell’amato padre. (Vedi approfondimento a Mr 14:36.) Sia qui che in Ro 8:15, Paolo usa questo termine in relazione a cristiani generati dallo spirito quali figli di Dio. Essendo stati adottati, possono ora rivolgersi a Geova con un appellativo che uno schiavo non avrebbe potuto usare nei confronti del padrone a meno che non fosse stato adottato. Quindi, pur essendo “schiavi di Dio” “comprati a caro prezzo”, sono anche figli nella casa di un Padre amorevole, e lo spirito santo li rende chiaramente consapevoli della loro condizione (Ro 6:22; 1Co 7:23).
Padre Tutt’e tre le occorrenze di “Abba” nelle Scritture Greche Cristiane sono seguite dalla traduzione in greco ho patèr, che letteralmente significa “il padre” o, come vocativo, “Padre!”
avete conosciuto Dio Molti dei cristiani della Galazia avevano “conosciuto Dio” grazie al ministero di Paolo. Il verbo greco in questo versetto reso “avete conosciuto” e “siete stati conosciuti” lascia intendere che c’è un buon rapporto fra le persone coinvolte (1Co 8:3; 2Tm 2:19). Quindi conoscere Dio non è solo questione di avere nozioni basilari su di lui. Implica che si coltivi con lui un’amicizia. (Vedi approfondimento a Gv 17:3.)
anzi, ora che siete stati conosciuti da Dio Queste parole di Paolo indicano che per poter conoscere Dio una persona deve anche essere approvata da lui. Secondo un lessico, il verbo greco per “conoscere” ed “essere conosciuto” descrive “un rapporto personale con qualcuno di cui si conosce l’identità o si riconosce il valore”. Per poter essere conosciuti da Dio in questo senso, bisogna far sì che il proprio comportamento sia in armonia con la sua personalità, con le sue indicazioni e con il suo modo di agire.
miseri Alcuni cristiani della Galazia stavano tornando ai princìpi basilari che avevano seguito in precedenza. Tra questi potevano esserci filosofie che si basavano su ragionamenti umani o l’idea secondo cui i cristiani dovessero tornare a osservare la Legge mosaica oppure almeno alcune parti di essa (Col 2:8, 16-18, 20; vedi approfondimento a Gal 4:3). Paolo definisce “miseri” questi “princìpi basilari”, ricorrendo a un termine greco che letteralmente significa “povero”, “bisognoso”, mentre in senso metaforico sembra significare “misero”, “meschino”. Quei princìpi a cui si rifacevano erano davvero miseri in confronto alle ricchezze spirituali che si possono ottenere tramite Cristo Gesù.
giorni, mesi, stagioni e anni Qui Paolo si riferisce a ricorrenze speciali che sotto la Legge mosaica il popolo di Dio doveva celebrare. C’erano, ad esempio, i Sabati e gli anni sabbatici (Eso 20:8-10; Le 25:4, 8, 11), le lune nuove (Nu 10:10; 2Cr 2:4), l’annuale Giorno dell’Espiazione (Le 16:29-31), la Pasqua (Eso 12:24-27), la Festa dei Pani Azzimi (Le 23:6), la Festa delle Settimane (Eso 34:22) e la Festa delle Capanne (Le 23:34). Ognuna di queste celebrazioni cadeva in un momento specifico. Alcuni cristiani della Galazia erano stati sotto la Legge mosaica, perciò l’avevano osservata fedelmente per molti anni; quando però erano venuti a conoscenza del sacrificio di riscatto di Cristo, ne avevano accettato con gioia i benefìci, come pure la libertà dalla schiavitù della Legge mosaica (At 13:38, 39). Paolo era giustamente preoccupato per coloro che stavano tornando a essere schiavi della Legge e che celebravano scrupolosamente quelle ricorrenze speciali (Gal 4:11). Questo comportamento rivelava mancanza di fede nel sacrificio di riscatto di Cristo, proprio come nel caso in cui un non ebreo, dopo essere diventato cristiano, fosse tornato a osservare qualche rito legato al suo passato pagano.
a motivo di un’infermità fisica Sembra che Paolo soffrisse di un disturbo agli occhi (Gal 4:15; 6:11; confronta At 23:1-5). Qualunque fosse il problema di salute a cui si sta riferendo, Paolo dice che gli aveva dato l’opportunità di predicare la buona notizia lì in Galazia la prima volta. Questo potrebbe essere accaduto durante il suo primo viaggio missionario, intorno al 47-48. Fu in quell’occasione che lui e Barnaba giunsero in Galazia e visitarono le città di Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe (At 13:14, 51; 14:6, 21). Successivamente, intorno al 49, prima di scrivere questa lettera, Paolo rivisitò quelle città (At 15:40–16:1).
vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati Qui Paolo ricorre a un modo di dire comune all’epoca per sottolineare l’affetto che i galati nutrivano per lui: era così profondo che sarebbero stati disposti a sacrificare qualsiasi cosa in suo favore, persino una cosa preziosa come la vista. Il fatto che abbia usato questa metafora è particolarmente significativo se l’“infermità fisica” a cui ha appena fatto riferimento era un disturbo cronico agli occhi (Gal 4:13, 14; vedi anche At 23:2-5; 2Co 12:7-9; Gal 6:11).
Figli miei In questo versetto Paolo paragona sé stesso a una madre e i cristiani della Galazia ai suoi figli. Infatti dice: per voi sono di nuovo in travaglio. Paolo sembra riferirsi all’attaccamento che prova per loro e al suo profondo desiderio di vedere il loro pieno sviluppo quali cristiani. Anche se alcuni antichi manoscritti usano qui il termine greco tèknon, che significa “figlio”, altri autorevoli manoscritti usano il diminutivo teknìon. Nelle Scritture Greche Cristiane i diminutivi sono spesso usati per esprimere affetto e confidenza. Il diminutivo teknìon potrebbe quindi anche essere tradotto “figlioletti”, “figli cari” o “amati figli”. (Vedi Glossario, “diminutivo”.)
donna libera Con questa espressione Paolo si riferisce alla moglie di Abraamo, Sara, e alla “Gerusalemme di sopra” (Gal 4:26). Paragona inoltre la Gerusalemme dei suoi giorni alla serva Agar (Gal 4:25). La nazione di Israele, con la sua capitale Gerusalemme, non poteva essere paragonata a una donna libera perché la Legge non le riconosceva questa posizione. Anzi, la Legge dimostrava che gli israeliti erano soggetti al peccato, e in quanto tali schiavi. Invece la Gerusalemme di sopra, la moglie simbolica di Dio, è sempre stata una donna libera, proprio come Sara. Quanto a quelli che diventano “figli [...] della donna libera”, grazie al Figlio di Dio sono stati liberati dalla schiavitù del peccato e della Legge mosaica (Gal 4:31; 5:1 e approfondimento; Gv 8:34-36).
nella maniera consueta Lett. “secondo la carne”. (Vedi approfondimento a Ro 1:3.)
hanno un significato simbolico O “sono un’allegoria”. L’allegoria è una figura retorica in cui all’interno di una narrazione persone, oggetti o avvenimenti sono usati per rappresentare altre cose. In questa parte della lettera Paolo usa un linguaggio allegorico quando, rifacendosi al racconto dei capitoli 16-21 di Genesi, crea un contrasto tra la “donna libera” (Sara) e la “serva” (Agar) (Gal 4:22–5:1; vedi Galleria multimediale, “Due donne dal significato simbolico”).
le due donne rappresentano due patti Qui Paolo si riferisce ad Agar e Sara, e dice che “rappresentano due patti”. A quanto pare questi due patti erano il patto della Legge mosaica e il patto abraamico. Nel significato simbolico che viene loro attribuito, le due donne corrispondono ad aspetti diversi dei rapporti tra Dio e i suoi servitori: il patto della Legge richiamava una simbolica schiavitù, il patto abraamico alludeva alla vera libertà che ne derivava.
nella maniera consueta Lett. “secondo la carne”. (Vedi approfondimento a Ro 1:3.)
perseguitava Qui Paolo fa riferimento al racconto di Gen 21:9, dove si dice che Ismaele “prendeva in giro Isacco”. Ismaele è definito il figlio nato nella maniera consueta, mentre Isacco quello nato mediante lo spirito. Isacco viene descritto così perché Geova, per realizzare la sua promessa, si era servito del suo spirito santo per ravvivare le facoltà riproduttive di Abraamo e Sara (Gen 12:3; 13:14-16; 17:7-9, 19; Gal 4:28). Attribuendo un significato simbolico al fatto che Ismaele perseguitava Isacco (Gal 4:24), Paolo crea un collegamento con i suoi giorni dicendo: così avviene anche ora. Spiega che i “figli della promessa” (Gal 4:28), ovvero i discepoli di Gesù unti con lo spirito, venivano perseguitati dagli ebrei naturali, che si consideravano eredi legittimi di Abraamo.
Galleria multimediale
Nella sua lettera ai cristiani della Galazia, Paolo menziona due donne, attribuendo loro un importante significato simbolico: la moglie di Abraamo, Sara, e la sua moglie secondaria, Agar (Gal 4:24). Paolo scrive che Agar, la schiava, corrisponde alla “Gerusalemme d’oggi”, capitale di Israele dei suoi giorni. I figli simbolici di Agar rappresentano quegli ebrei che scelsero di rimanere legati alla Legge mosaica e al suo sistema di sacrifici animali (Gal 4:25). Sara, la donna libera, rappresenta “la Gerusalemme di sopra”, moglie simbolica di Dio, ovvero la sua organizzazione celeste composta da creature spirituali. Anche lei produce una discendenza simbolica: Cristo e i suoi fratelli unti con lo spirito (Gal 3:16, 28, 29; 4:26). I fratelli di Gesù e quelli che servono Geova insieme a loro dimostrano di adorarlo vivendo secondo le norme del cristianesimo, che includono fare “dichiarazione pubblica” del suo nome e riunirsi alle adunanze cristiane (Eb 10:23, 25; 13:15). Nel libro di Galati, Paolo mostra che chi adora Dio ha un solo modo per essere davvero libero: seguire fedelmente Cristo (Gal 5:1).
Nelle Scritture il monte Sinai, conosciuto anche come Horeb, è definito il “monte del vero Dio” (Eso 3:1, 12; 24:13, 16; 1Re 19:8; At 7:30, 38). Fu ai piedi del Sinai che il patto della Legge entrò in vigore (Eso 19:3-14; 24:3-8). Per questo motivo l’apostolo Paolo si riferì alla Legge mosaica come al patto “del monte Sinai” (Gal 4:24). Scrisse che questo monte è “un monte dell’Arabia”, ma la sua esatta ubicazione è incerta (Gal 4:25). Stando alla tradizione, fa parte di un crinale di granito (qui al centro della foto) situato nella penisola del Sinai tra i due bracci settentrionali del Mar Rosso.